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5 agosto: MADONNA DELLA NEVE.


Il titolo di Madonna della Neve, è strettamente legato al sorgere della Basilica di S. Maria Maggiore in Roma.
Nel IV secolo, sotto il pontificato di papa Liberio (352-366), un nobile e ricco patrizio romano di nome Giovanni, insieme alla sua altrettanto ricca e nobile moglie, non avendo figli decisero di offrire i loro beni alla Santa Vergine, per la costruzione di una chiesa a lei dedicata.
La Madonna la notte fra il 4 e il 5 agosto,apparve ai coniugi  indicando con un miracolo il luogo dove doveva sorgere la chiesa.
Infatti la mattina dopo, i coniugi romani si recarono da papa Liberio a raccontare il sogno fatto da entrambi, anche il papa aveva fatto lo stesso sogno e quindi si recò sul luogo indicato, il colle Esquilino e lo trovò coperto di neve, in piena estate romana.
Il pontefice tracciò il perimetro della nuova chiesa, seguendo la superficie del terreno innevato e fece costruire il tempio a spese dei nobili coniugi.
L’antica chiesa fu poi abbattuta al tempo di Sisto III (432-440) il quale in ricordo del Concilio di Efeso (431) dove si era solennemente decretata la Maternità Divina di Maria, volle edificare a Roma una basilica più grande in onore della Vergine, utilizzando anche il materiale di recupero della precedente chiesa.
In quel periodo a Roma nessuna chiesa o basilica raggiungeva la sontuosità del nuovo tempio, né l’imponenza e maestosità; qualche decennio dopo, le fu dato il titolo di Basilica di S. Maria Maggiore, per indicare la sua preminenza su tutte le chiese dedicate alla Madonna.
Nei secoli successivi la basilica ebbe vari interventi di restauro strutturali e artistici, fino a giungere, dal 1750 nelle forme architettoniche che oggi ammiriamo.
Dal 1568 la denominazione ufficiale della festa liturgica della Madonna della Neve, è stata modificata nel termine “Dedicazione di Santa Maria Maggiore” con celebrazione rimasta al 5 agosto; il miracolo della neve in agosto non è più citato in quanto leggendario e non comprovato.
Ma il culto per la Madonna della Neve, andò comunque sempre più affermandosi, tanto è vero che tra i secoli XV e XVIII ci fu la massima diffusione delle chiese dedicate alla Madonna della Neve, con l’instaurarsi di tante celebrazioni locali, che ancora oggi coinvolgono interi paesi e quartieri di città.
A Roma il 5 agosto, nella patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore, il miracolo veniva ricordato, non so se ancora oggi si fa, con una pioggia di petali di rose bianche, cadenti dall’interno della cupola durante la solenne celebrazione liturgica.
Il culto come si è detto, ebbe grande diffusione e ancora oggi in Italia si contano ben 152 fra chiese, santuari, basiliche minori, cappelle, parrocchie, confraternite, intitolate alla Madonna della Neve.
Ogni regione ne possiede un buon numero, per lo più concentrate in zone dove la neve non manca, fra le regioni primeggiano il Piemonte con 31, la Lombardia con 19, la Campania con 17. In molte zone d’Italia, in omaggio alla Madonna della Neve, si usa mettere alle neonate i nomi di Bianca, Biancamaria, o più raro il nome Nives.
A cura di
MascoloEmanuele

 

NOVENA A SANTA FILOMENA composta dal Curato d'Ars

NOVENA A SANTA FILOMENA composta dal Curato d'Ars

Per ciascun giorno della novena Gloriosa Vergine e Martire, tanto amata da Dio, Santa Filomena, io mi rallegro con voi del­la potenza che Iddio vi ha dato per la gloria del suo Nome, per l'edificazione della sua Chiesa e per onorare i meriti della vostra vita, e della vo­stra morte. Godo di vedervi così pura, così ge­nerosa, così fedele a Gesù Cristo ed al suo Vangelo, così magnificamente ricompensata nel Cielo e sulla terra. Attirato dai vostri esempi al­la pratica delle solide virtù, pieno di speranza alla vista delle ricompense accordate ai vostri meriti, io propongo di seguirvi nel fuggire ogni male e nell'eseguire interamente ciò che Dio mi coman­da. Aiutatemi, o grande Santa, colla vostra po­tente intercessione. Ottenetemi soprattutto una purità inviolabile per sempre, una forza d'ani­mo sempre invincibile in ogni sorta di assalti, una generosità che non si nega per Dio ad alcun sa­crificio, ed un amore così forte come la morte per la Fede di Gesù Cristo, per la Santa Chiesa Romana e per il Sovrano Pontefice, Padre co­mune di tutti i fedeli, Pastore dei Pastori e delle pecorelle, Vicario di Gesù Cristo in tutto il mondo.
A queste grazie ch'io vi domando, o S. Fi­lomena, con tutto il fervore dell'anima mia, io aggiungo altre grazie, che ho egualmente piena fiducia di ottenere per la vostra potente media­zione. (Esponete questa grazia alla Santa con semplicità, confidenza ed umiltà…).
No, quel Dio così buono per il quale voi ave­te dato il vostro sangue e la vostra vita; quel Dio così buono il quale è tanto prodigo verso di voi e, per mezzo vostro, dei suoi doni e dei suoi fa­vori: quel Dio così buono il quale mi ha amato fino a morire per me, fino a volersi dare a me sotto le specie Eucaristiche, no, Egli non dirà di no alle vostre preghiere, ai miei voti, al bisogno ch'Egli in modo certo prova di farci del bene. Io lo spero, io metto tutta la mia fiducia in Lui ed in Voi. Amen.
O Santa Filomena Vergine e Martire, pre­gate per noi, affinché per la vostra potente in­tercessione otteniamo quella purezza di spirito e di cuore che conduce al perfetto amore di Dio. Amen.

Si ripeta la preghiera per nove giorni consecutivi


FESTA SANTISSIMO SALVATORE

DA OGGI 4 AGOSTO 2012 NEL COMUNE DI MARGHERITA DI SAVOIA HANNO INIZIO I FESTEGGIAMENTI DEL SANTISSIMO SALVATORE.

4 agosto: SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY

Giovanni Maria Vianney (santo Curato D'Ars), nacque a Dardilly, l’8 maggio 1786, tre anni prima dello scoppio della Rivoluzione Francese. Fu battezzato il giorno stesso e prese il nome del fratello minore di suo padre.
 Le celebrazioni liturgiche lo affascinavano così tanto da imitarle e ripeterle una volta tornato a casa. Quando conduceva al pascolo il bestiame, spesso lasciava ai compagni la custodia degli animali per correre dietro un cespuglio a recitare il santo rosario ed era felice di entrare in una chiesa quando sentiva suonare la campana. Il bambino imparò ben presto anche a venire incontro alle necessità dei bisognosi, prendendo esempio dai suoi genitori, che lavoravano senza risparmiarsi la campagna, riuscendo a condurre una vita tranquilla e con generosità sfamavano ogni giorno molti poveri, non prima di averli invitati a recitare una preghiera. 
Fu caninizzato il 31 maggio 1925. Ovunque si trovasse, in casa, in strada, nel giardino, Giovanni Maria «benediceva l’ora» cioè, seguendo l’esempio di sua madre, ogni volta che sentiva suonare le ore, incurante della presenza di altre persone, sospendeva l’attività che stava compiendo, faceva il segno della Croce, recitava l’Ave Maria e ripeteva, a chiusura, il segno della Croce. Questa consuetudine perdurerà lungo tutto l’arco della sua esistenza. La fama di santità percorse tutta la Francia e anche oltre. Il santo si schernì sempre dall’essere l’autore di prodigi, guarigioni e miracoli, attribuendo tutto all’intercessione di santa Filomena (III-IV secolo), martire dell’antica Roma, di cui la chiesa di Ars conservava una reliquia.
Tuttavia quella fama di santità urtava parecchi ecclesiastici, che non potevano credere in un sacerdote “ignorante”, spesso considerato addirittura pazzo. A tali illazioni monsignor Alexandre Raymond Dévié (1767 – 1855), vescovo di Belley, rispondeva: «Signori, io auguro a tutto il mio clero un granellino di questa follia».
Dall’età di 11 anni desiderava vivere in solitudine, ma non gli fu permesso; rimase 41 anni curato delle anime di Ars, contro la sua volontà, sottomettendosi a quella di Dio. Un giorno disse: «Non è per la fatica che costa… Ciò che spaventa è il conto che si deve rendere a Dio della vita di curato […] non sapete che cosa voglia dire passare da una canonica al tribunale di Dio». Tre volte tentò la fuga da Ars, ma fece sempre ritorno nel luogo dove Dio l’aveva chiamato ad operare.
I suoi sermoni sono un capolavoro di dottrina e di teologia. Siamo di fronte a un predicatore straordinario. Si prepara le prediche meglio che può, poi le studia. Ma quando le espone, parla con tanta convinzione, con tanto ardente amore per Dio che coinvolge e travolge gli uditori. Parecchi testimoni hanno raccontato che, nonostante la sottile voce del santo, l’assenza di microfoni, l’assembramento delle migliaia di persone nella e presso la chiesa, non impedivano alla Grazia di manifestarsi ugualmente e molti si convertirono senza neppure sentirlo.
Un avvocato anticlericale andò ad Ars sperando di ridere a spese di quello strano prete, in realtà tornò a casa convertito: agli amici che gli chiesero che cosa avesse visto ad Ars, egli rispose che aveva incontrato Dio in un uomo. 
Le sue benedizioni, le sue prediche, il suo carisma si estendono ormai per ogni dove; in moltissimi vogliono raggiungere Ars, tanto che tutta l’Europa viene qui rappresentata. 
Nel 1835 don Vianney risente ancora delle penitenze giovanili: nevralgie facciali e mal di denti impressionanti. Fino al 1843, nonostante la mole di lavoro a cui deve attendere, non ha accanto a sé nessun coadiutore, ma dopo questa data monsignor Devie raccomanda i parroci di Rancé e di Savigneux di aiutarlo nelle diverse funzioni del suo ministero.
Proprio in quell’anno Vianney fu in punto di morte a causa di una pleuro-polmonite, d’altra parte già due anni prima, sentendosi sfinito e prossimo alla morte, aveva fatto testamento, nel quale «lasciava alla terra il suo corpo di peccati e consegnava la sua povera anima alle Tre Persone della SS. Trinità».
Fu un martire del confessionale: arrivò a starvi anche 18 ore al giorno. Benedetto XVI, sull’esempio di Vianney, invita a rimettere al centro delle preoccupazioni pastorali la confessione, il sacramento che rigenera e riporta alla vita l’anima fatta per la libertà della Verità e non per la menzogna e la prigionia del peccato, che getta nelle tenebre la persona, serrandola in una gabbia di male. E se l’anima è torturata, tutto l’equilibrio psicofisico è turbato e compromesso. Scrive ancora il Santo Padre nella sua Lettera: «Sconsiglia ai suoi parrocchiani la danza. Eppure le danze del suo tempo sono meno immorali e scandalose di certe danze di oggi: le sue parrocchiane ci vanno coperte e con le gonne lunghe. Chissà che cosa direbbe di certi balli del nostro secolo! Eppure nega l’assoluzione a chi non promette di astenersi da certi balli. Alcuni gli rispondono che andranno in un’altra chiesa dove non avranno difficoltà a farsi assolvere. A questi risponde: “Se altri preti vi vogliono aiutare ad andare all’Inferno, che se ne prendano la responsabilità”».
Era il mese di marzo del 1850 quando uscì un libro del suo amico, il venerabile fratel Gabriele Taborin (1799-1864), fondatore dei Fratelli della Sacra Famiglia, dal titolo: L’Angelo conduttore dei pellegrini di Ars. Quando Taborin gli fece dono del volume, l’abbé Vianney rimase profondamente addolorato, poiché si trattava di un lavoro encomiastico nei suoi confronti. «Ma come avete potuto ingannarmi così?», disse turbato , «Vi credevo incapace di fare un libro cattivo. Non voglio assolutamente che quest’opera sia conservata o divulgata in alcun modo. Bruciatela immediatamente! Vi rimborserò io le spese della stampa». Di fronte all’interdetto Taborin egli aggiunse, pensando sempre di essere un asino che aveva scambiato il suo «raglio per un nitrito»: «Il vostro libro è buono farà senz’altro del bene. Ma bisogna togliere tutti quegli elogi menzogneri che avete messo all’inizio. Come avete potuto farmi simili lodi. A me, che non sono che un povero peccatore, il più ignorante dei preti. A me che forse un giorno sarò sconfessato! Gli altri parroci fanno del bene. Io non faccio che tele di ragno, e se anche essi non lo dicono, comunque lo pensano». Il suo disappunto non venne preso in considerazione e il Vescovo di Belley diede l’autorizzazione alla distribuzione del volume. Il commento del Curato d’Ars fu: «Appena una croce mi lascia, eccone subito un’altra pronta a sostituirla» e non autografò neppure una copia.
L’abbé Vianney  trascorre tutta la sua giornata e la sera in chiesa: all’altare, sul pulpito, in confessionale. Spesso la notte non trova riposo, a causa delle molestie sataniche, che si fanno sentire anche di giorno, come quella mattina del 24 febbraio 1857. Mentre il curato si trovava in sacrestia, alcuni fedeli, che si trovavano nella canonica, videro uscire le fiamme dalla sua stanza. Corsero per andarlo ad avvisare. Egli, che già indossava i paramenti sacri e stava per iniziare a celebrare la Santa Messa, senza scomporsi disse: «Quel villano d’un grappino!... Non ha potuto prendere l’uccello e così brucia la gabbia». Così dicendo trasse di tasca la chiave della porta per dare la possibilità ai parrocchiani di spegnere l’incendio. (Ancora oggi sono visibili le tracce del fuoco su diversi oggetti). Ma grande fu lo stupore quando i soccorritori videro, aprendo la porta, che le fiamme si erano fermate davanti al reliquiario di legno che don Vianney teneva sul cassettone e che conteneva oltre cinquecento reliquie di santi, raccolte nel corso degli anni.
 Fra i tanti doni straordinari di don Vianney c’era quello del discernimento degli spiriti, cioè l’intelligibilità delle anime che gli permetteva di scrutare i cuori e rivelare anche ciò che i penitenti non osavano dire oppure li illuminava sui pericoli della coscienza e sulle tentazioni. Giorno, notte, sempre, senza soste… nulla lo poteva fermare di fronte alla liberazione del peccato. Soffriva di emicranie paurose dentro il confessionale, gelido d’inverno, una fornace d’estate, eppure proseguiva, incurante di sé.
Venivano pagati i poveri per tenere il posto in coda ai più abbienti. Don Vianney non faceva mai distinzioni fra i fedeli, usando lo stesso atteggiamento, come faceva anche san Giuseppe Cafasso (1811-1860), sia per i meno fortunati che per le persone illustri. Una volta un ricco signore si lamentò a gran voce perché era costretto, per confessarsi, a rispettare la fila come gli altri. Con passo deciso si avviò al confessionale, superando tutti gli astanti, e con arroganza disse: «La settimana scorsa, io, sono stato a pranzo con l’imperatore!», allora l’abbé Vianney spuntò fuori e rispose: «E io pranzo tutti giorni con Nostro Signore!». Arguto e pungente, il Curato rispondeva sempre a tono, come quella volta che si rivolse in questi termini ad un pellegrino scettico, il quale gli aveva domandato se vedeva davvero il diavolo: «Sì, e anche adesso!».
Incoraggiava alla comunione frequente, affermando che non tutti coloro che si avvicinano all’altare sono santi, ma i santi sono fra coloro che si comunicano spesso. Un giorno un’indemoniata gli gridò: «Quanto mi fai soffrire… Se sulla terra ci fossero tre persone come te, il mio regno sarebbe distrutto».
Unito costantemente a sorella povertà, amava i paramenti sacri ricchi e preziosi, gli arredi della chiesa belli e nobili. Affermava che «niente è troppo bello per Dio» e agì di conseguenza abbellendo la chiesa, il campanile, il coro, le cappelle Jean-Baptiste nel 1823, Ecce Homo nel 1833, Sainte Philomène nel 1837 Per tutta la vita accoglierà con riconoscenza donazioni e favori di benefattori aristocratici e potenti, sempre destinati ad abbellire la chiesa o la «Providence».
Incontrandolo ci si convertiva o si consolidava la fede che si aveva, cercando di perfezionarsi, ma gli stessi preti rimanevano scossi e rileggevano la propria vocazione alla luce della vita, della pastorale, delle parole del Curato d’Ars. Spiegava il patrono dei parroci: «La causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio, come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria!» e prese l’abitudine di offrire sempre, celebrando, anche il sacrificio della propria vita: «Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!». Il cuore, il centro della vita del prete è l’Eucaristia, ma tale deve essere anche per il laico, come afferma nel sermone pensato per la sesta domenica dopo Pentecoste: «Quale gioia per un cristiano che ha la fede, che, alzandosi dalla santa Mensa, se ne va con tutto il cielo nel suo cuore! ... Ah, felice la casa nella quale abitano tali cristiani!... quale rispetto bisogna avere per essi, durante la giornata. Avere, in casa, un secondo tabernacolo dove il buon Dio ha dimorato veramente in corpo e anima!. . .».
Nel 1836 si organizzò un servizio di vetture fra Ars e Trévoux, tre volte alla settimana e divenne quotidiano fra Ars e Lione nel 1840. Due carrozze omnibus furono poi ulteriormente approntate, per due volte al giorno, con la linea Parigi-Lione. Il numero dei pellegrini giunse ad ottantamila all’anno, contando solo coloro che si servivano di mezzi pubblici. 
Con decreto dell’11 agosto 1855 Napoleone III promosse l’abbé Vianney nell’ordine imperiale della Legion d’Onore, con il grado di cavaliere, titolo che assume un’inevitabile vena umoristica sulle spalle spigolose e fragili del curato, il quale, quando era diventato canonique, aveva immediatamente venduto, a vantaggio dei poveri, la mozzetta che gli avevano consegnato. Un giorno si sentì dire: «Signor Curato, tutte le potenze della terra vi offrono decorazioni. Quindi Dio non mancherà di decorarvi in Cielo» e lui, seriamente: «È questo che mi fa paura! Guai se alla morte mi presentassi con queste bagatelle, e dovessi sentire Dio che mi dice: “Vattene! Hai già ricevuto la tua ricompensa”». Allora, quando seppe che la croce di cavaliere non aveva alcun valore commerciale, altrimenti l’avrebbe venduta per i suoi poveri, la restituì al mittente.
Morì, sfinito, ma senza agonia, il 4 agosto 1859 alle 2 della notte. Il campanile di Ars emise i rintocchi funebri e venne imitato dai paesi di Savigneux, Misérieux, Toussieux, Jassans-Riottier. Dopo le esequie, il suo corpo, per consentire l’ultimo saluto dei  fedeli, rimase esposto in chiesa dieci giorni e dieci notti.  Papa san Pio X lo ha proclamato beato l'8 gennaio 1905; mentre il 31 maggio 1925 è stato canonizzato da Pio XI. Nel centenario della morte, il 1° agosto 1959, il beato Giovanni XXIII gli ha dedicato un’enciclica, Sacerdotii Nostri Primordia, additandolo a modello dei sacerdoti.
Nel 1986, il venerabile Giovanni Paolo II, nel bicentenario della nascita del santo, andò in pellegrinaggio ad Ars, dedicandogli la tradizionale lettera che indirizzava ogni giovedì Santo a tutti i sacerdoti. Lascia scritto il Papa: «Sulla strada del rientro dal Belgio a Roma,  ebbi la fortuna di sostare ad Ars. Era la fine di ottobre del 1947, la domenica di Cristo Re. Con grande commozione visitai la vecchia chiesetta dove San Giovanni Maria Vianney confessava, insegnava il catechismo e teneva le sue omelie. Fu per me un'esperienza indimenticabile. Fin dagli anni del seminario ero rimasto colpito dalla figura del parroco di Ars, soprattutto alla lettura della biografia scritta da Mons. Trochu. San Giovanni M. Vianney sorprende soprattutto perché in lui si rileva la potenza della grazia che agisce nella povertà dei mezzi umani. Mi toccava nel profondo, in particolare, il suo eroico servizio confessionale. Quell' umile sacerdote che confessava più di dieci ore al giorno, nutrendosi poco e dedicando al riposo appena alcune ore, era riuscito, in un difficile periodo storico, a suscitare una sorta di rivoluzione spirituale in Francia e non soltanto in Francia. Migliaia di persone passavano per Ars e si inginocchiavano al suo confessionale. Sullo sfondo della laicizzazione e dell'anticlericalismo del XIX secolo, la sua testimonianza costituisce un evento davvero rivoluzionario.
Dall'incontro con la sua figura trassi la convinzione che il sacerdote realizza una parte essenziale della sua missione attraverso il confessionale, attraverso quel volontario "farsi prigioniero del confessionale"».
Il Cuore incorrotto dell’abbé Vianney è custodito in un reliquiario donato, in occasione del centenario della beatificazione, dalla parrocchia di San Giovanni Maria Vianney (località Borghesiana) di Roma al Santuario di Ars. L'opera, in bronzo argentato, è stata fusa nella fonderia dei laboratori della Domus Dei di Albano su progetto dell'artista Alessia Bernabei di Roma. Il reliquiario è stato ideato prendendo spunto da una frase tratta dalle omelie del Curato: «Il cuore dei santi é saldo come una roccia tra i flutti del mare», e rielabora il  portale della Cappella del Cuore di Ars, trasformandolo in un tempietto, edificato sopra una roccia, che si erge tra le onde del mare.


A cura di
Mascolo Emanuele

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